sabato 27 ottobre 2012

Beyond Good and Evil

Certe salite sono come le canzoni o i libri, quando meno te lo aspetti arrivano, azzeccano il momento giusto come se sapessero di cosa hai bisogno.
In questo modo arriva il messaggio di Fabio che mi fulmina facendomi notare che stanno scalando tutti tranne noi. Avevo saputo che la via era in condizioni ma avevo fatto finta di niente forse per non intaccare il mito nella mia testa o forse per paura di fallire.
Ci penso e poi accetto, punto tutto, o la va o la spacca. Sogno di scalare questa via da quando otto anni fa lessi per la prima volta le Confessioni di Mark Twight.
Durante il viaggio allieto Fabio con citazioni di Mishima e Nietzsche prese dal libro di Twight (è grazie a lui che mi sono avvicinato a quelle letture).
La linea è subito evidente, un'esile striscia di ghiaccio che taglia pareti scure e dannatamente ripide.
In funivia incontriamo due francesi con il nostro stesso obiettivo, un po' sbruffoni e poco gentili il giorno dopo confermeranno la loro attitudine. Nello stesso stile il gestore del Rifugio Plan de l'Aiguille (che pensavamo fosse chiuso) ci fa capire che non possiamo usufruire del locale invernale, senza esitare decidiamo di bivaccare su un sasso sotto la parete, abbiamo tutto il necessario tranne i materassini... poco male, la coppia di nuove corde andrà benissimo!
Con piacere incontriamo due ragazzi camuni appena scesi da Beyond, ci forniscono utili e positive informazioni grazie alle quali passeremo una notte più tranquilla. Li saluto e li ringrazio!
In un attimo cala il sole, il freddo non è eccessivo e riusciamo a goderci pienamente risotto e tubino...
Attacchiamo alle sei ancora in pieno buio, l'avvicinamento non ha fatto altro che rafforzare il mio mal di testa. Il primo tiro mi regala un viaggio fantastico, dopo pochi metri su ghiaccio un bel passaggio di misto porta alla lingua superiore che mi pare infinita, attorno a me solo il buio, sopra e sotto solo ghiaccio, il mio fascio di luce penetra tutto ciò solo per pochi metri. I francesi ci sono alle calcagna e sul secondo tiro senza tanti complimenti ci sorpassano. Una manciata di metri più facili portano sotto al grande diedro visibile da Chamonix, Fabio lo raggiunge salendo un tiro delicato e poco proteggibile. Ora ecco davanti ai nostri occhi ciò per cui siamo qui, a sinistra una liscia parete quasi verticale e a destra un bordo strapiombante, nel mezzo una colata a gocce spessa pochi centimetri (non più di tre o quattro). Mi muovo con tutta la leggerezza possibile, attraverso il ghiaccio si vede la roccia, non ho mai scalato niente del genere e vorrei che il tiro non finisse mai... I "cinghiali" davanti a noi non si fanno troppi problemi a tirar giù roba, la mia estasi viene rotta da un blocco di ghiaccio che mi piomba dritto in pancia! Fabio prosegue le danze su per il diedro scalando cinquanta metri che oso definire perfetti. La prima sezione chiave è superata e con entusiasmo scaliamo una serie di tiri più tranquilli ma non meno belli. Dopo qualche metro in comune con la Rebuffat torniamo a destra sulla linea originale, ancora diedri, ancora ghiaccio sottile, ancora arrampicata precaria, ancora perfezione. Inizia Fabio poi io insaziabile unisco gli ultimi tre tiri in un lungo viaggio fino a raggiungere il sole. Siamo in cima, abbiamo impiegato sette ore e siamo riusciti a salire tutta la via in libera, non siamo neanche troppo stanchi; siamo esterrefatti dalla bellezza della via, vorremmo scalarla altre tre volte.
Incominciamo le calate e subito incontriamo due trentini che sono saliti con la prima funivia! Saluto anche loro!
Prima di partire avevo contattato Enrico Bonino che aveva salito la via qualche giorno prima lasciando attrezzate le prime due doppie (la discesa continua sulla Rebuffat); la sosta del penultimo tiro è stata "rubata" dai francesi davanti a noi che sono poi scesi dalla normale, l'abbiamo sostituita noi con un chiodo e un nut... Saluto e ringrazio anche Enrico!
In questi colatoi il sole non batte, le pareti e le placche sono incrostate di neve e ghiaccio.
La discesa sarà lunga, non smettiamo di ammirare l'ambiente che ci circonda.
Torniamo al nostro sasso e impacchettiamo tutto il materiale, a breve sopraggiunge l'oscurità e con essa anche la stanchezza di una giornata piena come non pensavo potessi vivere.
Per le prossime ore le luci di Chamonix saranno un miraggio nella notte, il bosco sembra infinito e più ci avviciniamo più il paese sembra non arrivare mai. Passiamo momenti indefinibili in quel bosco, quando il buio sembra essere troppo nero anche per le frontali basta voltare la testa e ritrovare l'equilibrio ammirando la luna.
Poi di colpo case, macchine, rumori, voci, siamo giù.
Siamo vivi, al di là del bene e del male.
Ci rituffiamo nella società e ci confrontiamo con persone buone e gentili e con elementi stupidi e inconsapevoli, al di là del bene e del male.
Questa salita è arrivata ma (per fortuna) non ha portato con se alcuna verità ultima, ora so solo che voglio continuare a scalare così, al di là del bene e del male.

"Metto alla prova la forza di volontà
basandomi sulla resistenza che è in grado di offrire,
e la quantità di dolore e tortura che può sopportare,
e a quel punto so come volgerla a mio vantaggio."

Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi, Diario dell'autunno 1887

Dalla bibbia del Damilano: "Quatorze longueurs exceptionelles, en mixte sévère, dans une face austère et froide. Escalade engagée avec des protections minimales".







































domenica 14 ottobre 2012

Giornate Uggiose

Le giornate uggiose di questo ottobre poco generoso, portano a situazioni dove è possibile "...riposare un poco... giusto per capir di più e placar gli affanni...".
Passo a prendere Fabio, diamo un passaggio alla sua donna poi ci lasciamo la città alle spalle e, a parlar di Patagonia ci perdiamo sempre di più nel labirinto della Brianza. Vediamo posti assurdi, tremendi, la nebbia non permette l'orientamento e rende ogni squarcio assoluto... e noi lì, senza sapere bene cosa fare. Lecco, usciamo dall'incubo, pioviggina. E' la seconda volta su due che prendiamo il brutto in Grigna. Ci decidiamo per la Bonatti al Medale, Fabio l'ha già salita e io sono curioso. L'aria è umida e pesante, quasi manca il respiro, sembra che il bosco voglia annegarci. Superiamo in velocità la ferrata, siamo leggeri, l'accordo era di salire solo con sei coppie. Al pilastrino di partenza, mentre calzo le scarpette inizia a piovere... smetterà più tardi. Conduco io, Fabio ha un gran mal di schiena. Il tiro del traverso è geniale, arrivo in sosta e mi accorgo che di coppie ne sarebbero bastate quattro, continuo per i diedri e poi fuori per rampe e caratteristiche placche a gocce. Lecco non si vede, è immersa nella nebbia; gli occhiali sempre appannati mi fanno vedere le cose ancora più distorte. Pensiamo a come sarebbe stato senza corda, sappiamo bene che siamo venuti qui per fare una prova... o forse no? Ciò che conta è che ora ci stiamo pensando. Scendiamo in un tempo molto maggiore rispetto a quello di salita poi incontriamo Danilo per una birra e due parole.







Torniamo a Milano, io vado a consegnare le pizze e poi a letto, la sveglia suonerà alle tre...
Sono con Luigi e siamo diretti al Cavalcorto per provare Fast Trip. Il tempo è migliore anche se l'umidità fa ancora da padrone. Al buio risaliamo i boschi della Valle del Ferro, con le prime luci raggiungiamo le baite dei pastori e qui, davanti alla vista di un cavallo bianco immobile che mi fissa, credo davvero di essere in un altro mondo. Salendo ancora, l'aria si raffredda fino a diventare fastidiosa.  Per prati e rocce siamo alla base della bastionata orientale del Cavalcorto, uno dei luoghi meno frequentati del massiccio. Individuiamo subito la zona di partenza della via solo che non capiamo esattamente dove attaccare, mi decido per una fessura erbosa. Già il primo contatto con la roccia mi da insicurezza, credo molto nell'istinto e dopo alcuni passi delicati mi calo. Non è per di qua. Un po' nervosi (ed è qui che iniziamo a perdere la giornata) facciamo avanti e indietro spulciando la relazione e gli schizzi cercando di capire in quale porzione di placca parte la via. La cosa che ci fa impazzire è che sappiamo bene di essere nel punto giusto. Riparte Luigi per una placchetta scivolosa, dopo delle lame instabili si cala anche lui. Ancora a fare ipotesi, intanto i paraocchi sulle nostre teste si fanno sempre più grandi, per un momento non sappiamo neanche più perché siamo qui. Grandi nuvoloni avanzano, l'ora è tarda e noi, sconsolati, abbattuti e anche un po' incazzati ci troviamo a scendere. Capiremo in seguito che la via saliva proprio dove Luigi ha piantato un chiodo per ritirarsi ma a noi sembrava impossibile. Sicuramente non era giornata ma l'amaro in bocca non è dovuto al non aver salito la via ma al non essere riusciti a risolvere il problema della partenza. Questo ci ha portato a pensare; siamo così abituati alle cose pronte, già fatte, preconfezionate che alle prime difficoltà (non tecniche ma di "ingaggio") rischiamo di andare in pappa. Molte volte non succede ma il rischio c'è ed è facile cadere. La mentalità, l'approccio vanno cambiati.


Passano un paio di giorni e sono ancora con Fabio, oggi c'è anche Greta e viaggiamo verso la Valle dell'Orco. L'idea è di fare qualcosa di tranquillo. Mi sveglio bene salendo due volte la Kosterlitz, finalmente sto capendo come si incastra (!) poi saliamo verso il Nautilus. Greta rinuncia, il dito le fa ancora male e giustamente non vuole rischiare. Le promettiamo di fare veloce. Del timido sole e un po' di brezza ci regalano un ottimo microclima per scalare. Saliamo in alternato scoprendo tiro dopo tiro una via non difficile ma davvero molto bella con passaggi caratteristici e unici. Stiamo vivendo il famoso "gioco arrampicata". Saliamo veloci provando a "sentire" il corpo e cercando di proteggere il meno possibile. Le sensazioni sono simili a quelle del Medale. In discesa proviamo la "doppia Himalayana"! Ci spostiamo tutti e tre sui monotiri del Sergent. Prima una placcona dove anche Greta scala poi le fessure hanno la meglio e Fabio danza sul primo tiro della Disperazione, io lo imito. Salgo anche la fessurina parallela più bassa con la corda dall'alto (lasca però!), in chiusura la classica Incastromania. Siamo rimasti gli ultimi, sono le sei e anche qui le nebbie avanzano. Nel bosco, scendendo, notiamo un grosso masso con una scaglia all'apparenza precaria, ricorda in miniatura quella di Reticent Wall. La scaglia è attaccata sulla porzione più strapiombante del masso e dopo aver fatto mille ipotesi sulla possibilità di cedimento, decidiamo di passare un minuto sotto di essa senza guardarla. Una prova di testa molto semplice ma estremamente efficace, un minuto ben speso. Molti leggeranno questo gesto come una semplice cazzata pericolosa. Non voglio lasciare l'argomento in sospeso ma ora non sono ancora pronto per esporlo in modo chiaro e comprensibile.
Voglio far passare qualche tempo, ora mi sto ancora godendo il gioco arrampicata.


















Sogno un cimitero di campagna e io là 
all'ombra di un ciliegio in fiore senza età 
per riposare un poco 2 o 300 anni 
giusto per capir di più e placar gli affanni 
Sogno al mio risveglio di trovarti accanto 
intatta con le stesse mutandine rosa 
non più bandiera di un vivissimo tormento 
ma solo l'ornamento di una bella sposa 
Ma che colore ha una giornata uggiosa 
ma che sapore ha una vita mal spesa 
Ma che colore ha una giornata uggiosa 
ma che sapore ha una vita mal spesa 
Sogno di abbracciare un amico vero 
che non voglia vendicarsi su di me di un suo momento amaro 
e gente giusta che rifiuti d'esser preda 
di facili entusiasmi e ideologie alla moda 
Ma che colore ha una giornata uggiosa 
ma che sapore ha una vita mal spesa 
Ma che colore ha una giornata uggiosa 
ma che sapore ha una vita mal spesa 
Sogno il mio paese infine dignitoso 
e un fiume con i pesci vivi a un'ora dalla casa 
di non sognare la Nuovissima Zelanda 
Per fuggire via da te Brianza velenosa 
Ma che colore ha una giornata uggiosa 
ma che sapore ha una vita mal spesa 

Una Giornata Uggiosa, Lucio Battisti