domenica 15 dicembre 2013

Grands Charmoz - Merkl Welzenbach

Una settimana dopo esser stati su Beyond con la Giulia e Andrea, io e David abbiamo ancora voglia (bisogno?) di arrampicare.
Ci decidiamo per la Nord dei Grands Charmoz, una parete che sogno da dieci anni e resa mitica dai duri bivacchi di Welzenbach e Merkl che si salvarono dopo quattro giorni di tempesta grazie ai nervi d'acciaio e la calma poi David mi fa notare che da qui sono passati anche Heckmair, Kroner e Herzog, eroi d'altri tempi, infine Twight da solo nel 1984 vive una storia da brivido che racconta nel primo capitolo delle sue Confessioni.
Siamo carichi e partiamo alle quattro di mattina da casa per raggiungere Chamonix dalla Svizzera evitando così il salasso delle Autostrade valdostane e del tunnel del Bianco. Saliamo con il trenino di Montenvers poi camminiamo sulla Mer de Glace dove la via attraverso il ghiaccio è segnata... Ora solo tracce di camosci che ci accompagnano su per la morena fino al cospetto dell'impressionante parete.
A mezzogiorno attacchiamo su ripide placche ghiacciate e severe che ci chiariscono subito l'andazzo della via. Saliamo per nevai e goulotte seguendo la verticale della cima fino al calar della luce, siamo sotto al grande nevaio centrale, ormai è buio pesto e ricaviamo una piccola cengia nella neve. Passiamo una notte in allegria, risparmiamo sul materiale ma non sui piaceri ed è per questo che dallo zaino saltano fuori due latte di birra, pane, porchetta, parmigiano, uvette, biscotti, noodels, cioccolata e anche da fumare, ci godiamo allora il bivacco ammirando le grandi pareti che ci circondano e le stelle cadenti.
Le ore di buio ormai sono tante e dopo esserci sgranchiti ripartiamo con la prima luce.
Alcune belle lunghezze e raggiungiamo il grande nevaio, lo superiamo con fatica. Ora il catino terminale è sopra le nostre teste e sembra strapiombante. Salgo sull'esile linea di ghiaccio che solca il canale, le croste di neve ghiacciata e le rocce mobili non sono rassicuranti, le protezioni poche. Seguono altri tiri, ingaggiosi dove impieghiamo tutte le forze ed il tempo. L'ambiente è di prima classe, la parete severa e ci sentiamo completamente isolati in un posto fantastico. Alcune volte la neve non tiene e le picche grattano sulla roccia, la paura sale e il corpo viene scosso da brividi primitivi. Le ore che passiamo nel freddo e nell'ombra a lottare su queste rocce ghiacciate mi fanno pensare alle interminabili attese di Welzenbach nella tempesta annusando la morte nel 1931 senza le nomic, senza il jetboil, senza il primaloft, senza il gore tex ma con una volontà d'acciaio e un amore per l'Avventura totale. Il buio ci coglie sull'ultimo tiro, un traverso su neve in discesa che ci permette di uscire dalla parete. Siamo consci di essere solo a metà dell'opera in quanto la discesa fino a Chamonix non è per nulla banale. Facciamo delle doppie giù per ripidi diedri e pilastri, in fondo vediamo il bianco lenzuolo del ghiacciaio squarciato da crepacci ancora più neri del buio. Ci caliamo per tanti metri senza sapere bene dove ci porterà la prossima doppia, non vediamo niente, non conosciamo la zona e la relazione recita un'inutile e fastidiosa informazione:"Tre doppie da 30 metri poi canale da disarrampicare." Forse siamo su un'altra montagna... Mi calo lento ma regolare con la testa che gira puntando il fascio luminoso della frontale alla ricerca della sosta, all'improvviso mi manca la terra sotto i piedi e immediatamente piombo giù e rimango appeso alle corde con il corpo a penzoloni nel crepaccio terminale, ne esco sbracciando tra la neve e le labbra di ghiaccio, sono scosso e ormai stanco ma felice di aver raggiunto la base, è mezzanotte. Iniziamo a scendere sul ghiacciaio, aggiriamo scure voragini, disarrampichiamo muri di ghiaccio e facciamo anche un abalakov per superare una ripida fascia che finalmente ci fa uscire dal tormentato ghiacciaio. Ora sotto alla neve sfondiamo nei blocchi della morena, avanziamo meccanicamente puntando le luci del paese, abbiamo perso il senso del tempo, camminiamo per alcune ore nel buio giù per il bosco e seguendo i binari della ferrovia arriviamo alla macchina alle due di notte. Siam giù, è fatta, sono devastato ed esaltato, tutto questo mi piace. Un'avventura. Un sogno.
Dopo una pausa nei cessi riscaldati del parcheggio, mi metto al volante per un viaggio interminabile tra le montagne e tra i mostri che abitano le strade di notte, un viaggio nel tempo dal quale mi sveglio entrando a Milano con l'alba che mi acceca. Posteggio l'auto cinquantuno ore dopo averla presa, salgo le scale e mi lascio andare.

"Stavo affogando , ma poi ho cominciato a nuotare.
Stavo andando giù, ma poi ho cominciato a farcela".


















lunedì 29 luglio 2013

Mangart - via Lomasti

Fabiez è tornato dalla Norvegia e per qualche giorno resta in Italia nelle sue Alpi Giulie, decidiamo di vederci e scalare qualcosa.
Per questo motivo sono in viaggio con il Tito in direzione Udine, nel bagagliaio abbiamo un po' di tutto visto che non sappiamo ancora cosa faremo. Arriviamo nelle buie campagne a mezzanotte, per fortuna un lume ci indica la strada, Fabio ci accoglie e subito iniziamo a sognare sfogliando la bibbia delle pareti locali scritta dal grande Peter Podgornik. Molto avanti nella notte scegliamo di avventurarci sulla via Lomasti alla Nord del Piccolo Mangart, si rivelerà una scelta molto azzeccata. Dormiamo due ore e ripartiamo, io parlo con Fabiez così che lui rimanga sveglio per guidare, il Tito dietro dorme così che possa poi portarci in cima! La parete è subito visibile, è alta e maestosa. Parte il Tito che guiderà poi tutta la via e fin da subito capiamo lo stile, Lomasti era uno tosto. Dopo poco perdiamo il numero dei tiri, da ogni parte si guardi c'è solo roccia però riusciamo a salire sempre più in alto, l'unico riferimento è il perfetto Diedro Cozzolino alla nostra sinistra. Incontriamo placche, muri verticali e fessure che qui chiamano smembramenti, chiodi davvero pochi e lasciati dai rari ripetitori visto che Lomasti aprì in solitaria assicurandosi solo su un tiro...
All'improvviso sbuchiamo increduli sulla cresta sommitale, siamo sul confine e ammiriamo le severe vette slovene che si infiammano con i raggi del tramonto, è fantastico, questi luoghi sono molto selvaggi e severi.
Con l'ultima luce entriamo nel bivacco, abbiamo un tocco di formaggio ed uno di pane, abbiamo un paio di sorsi d'acqua a testa, abbiamo tutto l'essenziale.
Siamo amici, abbiamo fatto una bellissima via in un posto ancor più bello, tutto è successo spontaneamente e all'ultimo momento, ci siamo mossi per due giorni nell'incertezza ma siamo sempre stati legati.
Durante la discesa per la Via della Vita penso alle persone che per fuggire si lanciarono giù per questi versanti ripidissimi e selvaggi, si calarono perfino su posate e altri oggetti incastrati...
































lunedì 15 luglio 2013

Resoconto (anticipato) pakistano

Scrivo un mese prima del dovuto.
Per me la spedizione è finita e sono a casa.

Eravamo un gruppo pronto per provare una nuova via nel gruppo di Trango, è successo qualcosa, sono nate discussioni e ognuno ha fatto la propria scelta con relative conseguenze.
Questa è la mia versione dei fatti (sono l'unico membro ad essere rientrato), ognuno sarà libero di riportare la propria versione (gli altri ragazzi sono in Pakistan).

Ho avuto l'occasione di partecipare a questa spedizione con i Ragni di Lecco e ho deciso di provarci; mi trovo quindi in partenza con altre cinque persone: Matteo, Silvan, Luca, David e Arianna, di tutti conosco bene solo David. Questo credo sia il punto cruciale della situazione che è venuta a crearsi e cioè aver accettato di partire con persone che non si conoscono bene.
Di fatto ho sbagliato a fidarmi di certe persone.

Senza troppi problemi arriviamo ad attrezzare il campo base e dopo qualche giorno di pausa partiamo per il primo vero giorno verso la parete.
Nessuno di noi è mai salito oltre il Monte Bianco e quindi siamo tutti novelli dell'alta quota e questo lo accuseremo tutti.
L'obiettivo della giornata è impegnativo: verificare l'avvicinamento, iniziare a spostare il materiale, acclimatarsi, cercare un posto per il campo base avanzato, vedere la parete da vicino e cercare una possibile linea.. Forse troppe cose insieme ma comunque partiamo con l'idea di fare quello che si riesce senza esagerare.
La mattina lasciamo il campo base in quattro: Matteo, Silvan, David e io; Luca e Arianna riposano un altro giorno.
Saliamo regolari fino a 4700 metri circa poi iniziamo a sentire la fatica, a 5050 metri circa decidiamo di dividerci, io e David siamo stanchi e vogliamo scendere, Matteo e Silvan vogliono continuare ancora un pezzo. La decisione di dividerci viene presa solo in tre in quanto Silvan riparte dal punto di sosta a 5050 metri prima che David arrivasse. Nonostante l'evidente affaticamento (comune a tutti e quattro) Silvan preferisce non riposare, continua a parlare anche con il fiatone, mi sembra troppo euforico (magari è solo sano entusiasmo) e continua a chiedermi aspirine. Quel giorno ho preso anche io due aspirine ma non mi ci ero fissato..
Di fatto rimaniamo io, Matteo e David, beviamo ancora qualcosa poi io e David lasciamo il nostro carico in un buco e ci prepariamo a scendere, Matteo parte per raggiungere Silvan e ci lascia con semplici e chiare parole: "Aspettateci finchè riuscite alla cengia a 4700 metri".

Questo per me è un altro punto cruciale cioè il momento in cui una cordata si divide mantenendo però un accordo. E' sempre una questione di fiducia, si sceglie di contare sui compagni di cordata.

Io e David scendiamo lentamente, siamo stanchi e attrezziamo anche una corda fissa per discendere un tratto pericoloso (la corda potrebbe servire anche ai nostri compagni) poi raggiungiamo la cengia e ci piazziamo per aspettare (al momento di ripartire mi rendo conto che la cengia dove abbiamo fatto pausa in salita è qualche metro più a valle; non ritengo questo fatto determinante ma lo riporto come dettaglio).
Aspettiamo fino a preoccuparci, facendo un rapido calcolo i compagni dovrebbero essere già scesi e passati da noi. Il tempo passa e nessuno arriva, proviamo a risalire ma non siamo in grado, iniziamo a pensarne di tutti i colori ma cerchiamo di rimanere calmi.
Sono alla mia prima esperienza extra europea, alla mia prima esperienza in quota e nel complesso sono tre anni che scalo un po' seriamente e se ci lasciamo con l'accordo di riunirci e non ci riuniamo il mio istinto mi dice che è successo qualcosa.
Io e David pensiamo a quello che potrebbe star succedendo più in alto, non siamo in grado di risalire per verificare e quindi ci troviamo in una situazione di estremo disagio: non sappiamo cosa succede e non possiamo fare niente.
Sinceramente per un po' di tempo non sappiamo cosa fare, qual'è la scelta giusta in questa situazione? Penso a Bonatti che professa la calma da mantenere in ogni situazione.
Ci decidiamo per un'ora a cui inizieremo a scendere (rispettandola al minuto perchè se iniziamo ad aspettare "altri cinque minuti" non ci muoviamo più).
Cosa significa "Aspettateci finchè riuscite"? Finchè avete voglia, finchè morite, fino a notte, fino a quando? Io penso finchè si riesce a fare qualcosa di utile ai fini della cordata.
Decidiamo l'ora in cui lasciare il punto di ritrovo grazie ad un compromesso che analizza: gli accordi presi, il nostro stato, l'ora, le condizioni della montagna, le ipotesi che io e David abbiamo formulato con i dati a nostra disposizione e quello che ci sentivamo di fare a "fiuto".
Sinceramente non ho mai pensato che il ritardo dei compagni potesse essere causato da qualcosa di diverso da un incidente. Può essere mancanza d'esperienza o ingenuità oppure ancora fiducia buttata dal balcone.
Di fatto io e David aspettiamo i compagni e questi non arrivano, preoccupati e impossibilitati a salire decidiamo allora di scendere e prima di partire lasciamo sotto un sasso materiale utile per un bivacco.
Raggiungiamo il ghiacciaio e risaliamo la morena, poco prima di sbucare sul pianoro del nostro campo base confido a David di avere un forte senso di vomito all'idea di arrivare e non saper dire cosa è successo ai compagni. Fino a qui abbiamo camminato veloci con l'idea che prima si arriva e prima si può ripartire ma gli ultimi metri li percorriamo lenti, il peso di questa situazione si fa sentire sulle spalle e nella testa.
Arrivo tra le tende e vedo che seduti ci sono anche Matteo e Silvan, stanno bevendo the e mangiando biscotti, sono svaccati al campo base. Il tempo di realizzare la situazione e il mio entusiasmo si spegne, ora sono sconvolto, incazzato.
I due compagni sono scesi da un altra via e sono arrivati al campo base ore prima.
Io e David eravamo sulla montagna ad aspettarli.
Loro bevevano the e mangiavano biscotti senza alcuna preoccupazione (neanche un'occhiata dalla morena!), noi eravamo combattuti su cosa cazzo fosse meglio per la cordata (cordata di quattro non di due persone).
La loro versione in breve è che sono saliti ancora duecento metri poi hanno lasciato il loro materiale. Matteo stava male per la quota e Silvan lo ha aiutato a scendere poi nel punto in cui sarebbero dovuti passare da noi Silvan ha deciso di scendere per un altra via (nonostante Matteo gli avesse detto che noi stavamo aspettando) che riteneva migliore.
Dicono di aver urlato senza ottenere risposta e di non averci visto; la cosa non mi stupisce in quanto stavano scendendo in un canale separato dal nostro e tutt'attorno c'erano scariche, fiumi e altri canali.
Ci è voluta almeno una notte per tornare consapevoli delle proprie azioni e scelte.
Dopo i pianti, le urla, le scuse e tutte le altre scenate causate dallo stato di shock delle prime ore, ognuno ha preso una posizione, io ho deciso che per me la spedizione era finita.
Ho preso questa decisione personalmente poi l'ho condivisa con il gruppo.

Per me quello che è successo durante il primo giorno d'azione, quello che doveva essere il più facile di tutti, è inaccettabile. Inaccettabile per me e quindi faccio il mio passo indietro.
Non esiste (queste sono mie personali idee) che due compagni vengano lasciati su senza la minima preoccupazione o precauzione (delle urla su una parete piena di canali, scariche e fiumi non me ne faccio niente). Inoltre le facce di Matteo e Silvan quando li ho rivisti al campo base non erano per niente  preoccupate o tese, loro erano tranquillamente seduti a bersi il the, loro due erano scesi, perchè preoccuparsi di qualcosa?! Loro pensavano che stessimo arrivando..

Tornando ai fatti, io ho deciso di andarmene e di non legarmi più insieme a Matteo e Silvan, sopratutto in Karakorum con l'obiettivo di aprire una via nuova sull'Uli Biaho.
Qui risuona il grande errore comune di esser partiti senza conoscersi.
Voglio evidenziare che tutte le discussioni si sono svolte in modo civile, con tutti i membri in grado di intendere e di volere e analizzando tutte le questioni quindi nessuno ha agito di nascosto o slealmente.
Decido di scendere portando via tutto il mio materiale, in breve mi rendo conto che il materiale portato da me non era indispensabile alla spedizione e quindi ho deciso di prendere tutto, non per ragioni economiche ma per principio.
Non mi andava di lasciare le mie cose a dei bastardi.

Sul punto del materiale vorrei fare alcune precisazioni:

Nessuno dei membri mi ha chiesto di lasciare qualcosa.
Comunicando la lista del materiale che avrei preso, Matteo non mi ha dato ascolto dicendo che non gli importava niente mentre David e Luca sanno cosa ho preso e per loro andava bene.
Mi è stato chiesto e ho lasciato tutto il materiale Adidas che mi era stato fornito (compresa la giacca e quindi mi sono preso un giorno di pioggia) e anche le sei barrette e la busta di sali e disinfettante per l'acqua che avevo preso per il trekking di ritorno (bevuto e mangiato con i portatori quindi mi sono preso una bella diarrea).

Chiudiamo la discussione con una stretta di mano.



Quello che è successo, è successo a noi su una montagna in Karakorum.
Il tempo era il nostro e le scelte sono state nostre.







giovedì 13 giugno 2013

Walk the Line

Io vedo la società ed il sistema come un grande recinto che mi circonda. Non c'è un tetto, il cielo è visibile e serve a far sognare, la staccionata si supera con un salto slanciato.
Fuori il mondo è come all'origine della razionalità, fuori puoi sentire quello che sentiva un uomo delle caverne. Ho insita una tendenza all'avventura, mi piace andare fuori. Credo che sia il ritorno al sistema che mi faccia apprezzare il fuori (sistema). Come se tornato dietro le sbarre capissi ed apprezzassi ancor di più il blu limpido del cielo.
Il sistema ci seda sempre di più, sento l'adrenalina necessaria come una droga. Voglio provare tutto quello che un vero uomo può provare. Amo le attività psicofisiche dove la resistenza della mente e del corpo viene messa alle strette. Amo frustare la mente e il corpo. Noi siamo natura, natura sedata, io voglio provare ciò che prova la natura viva. Cosa prova un leone che si guadagna con la lotta il cibo oppure una foca che scampa l'attacco di un orso bianco oppure un uccello a migrare per migliaia di chilometri o perchè no una pianta a vivere centinaia di anni o uno scoglio a subire gli elementi per millenni?
Tutti loro forse non provano niente perchè non sono razionali ma istintivi. Fanno così e basta. 
Io però so cosa si prova a stare in un letto d'ospedale e guardare fuori dalla finestra il cielo blu e desiderare al massimo di correre fuori. So anche cosa si prova in una situazione di pericolo vitale in montagna. La possibilità di conoscere e confrontare le cose mi permette di apprezzarle oppure detestarle. L'apertura mentale e la predisposizione all'esperienza e all'avventura mi appaiono quindi indispensabili per vivere in modo attivo.
Parto per scalare in Pakistan per saltare il recinto ed avventurarmi fuori.
Spero di tornare per poter apprezzare il valore dell'esperienza.
Riesco ad amare la vita unicamente accettando la morte.
La morte può avvenire in ogni momento e casualmente, ritengo quindi inutile e stupido passare la vita a cercare di sfuggire alla morte che oltretutto è certa, prima o poi. Preferisco conoscerla ed accettarla (come una vicina che quando ascolti rock ad alto volume ti bussa con il manico di scopa dal piano di sotto) e vivere pienamente ogni istante della mia vita.

Facendo slack line ho imparato che per conquistare l'equilibrio bisogna continuare a perderlo.

La razionalità è geniale per una cosa sola: consapevolezza. 
Essere consapevoli permette di pensare all'azione e quindi apprezzarla oppure no. 
Penso sia questo il valore aggiunto della razionalità, poter apprezzare l'irrazionale. 
La razionalità è il punto fisso che ti permette di fluttuare (o surfare) tra terra e aria (come sulla slack). 
Consapevole del fatto che una perdita d'equilibrio con relativa caduta equivale a morte certa, affronto con serenità il cammino che mi porta da un albero all'altro, provo delle figure, surfo, rischio.
Tutto questo mi rende immensamente felice e vivo.



«A partire da quest'ora mi ordino libero di limiti e linee immaginarie. Vado dove voglio, totale e assoluto signore di me. Do ascolto agli altri, considerando bene quello che dicono. M'arresto, ricerco, ricevo, contemplo. Dolcemente, ma con volontà incoercibile, mi svincolo dalle remore che trattenermi vorrebbero».

Walt Whitman, “Song of the Open Road”

venerdì 3 maggio 2013

La mia Triple Direct

Un modo per ringraziare tre grandi dell'alpinismo italiano, ognuno di essi protagonista dei propri anni.
Tutti e tre lasciarono la propria firma sulla parete della Corna Medale, primo Cassin con la sua coraggiosa e famosissima via, poi Bonatti elegante e sobrio, seguito da Gogna che cerca le massime difficoltà sugli strapiombi.
Decido quindi di provare un concatenamento delle vie in solitaria e il più velocemente possibile.
L'anno scorso avevo salito la Gogna in solitaria e ci avevo messo otto ore autoassicurandomi su tutti i tiri. Ora però devo cambiare metodo perchè non ho tutto questo tempo.
Scelgo di salire per la ferrata velocemente alla Bonatti che scalo tutta slegato rinviando qualche volta la daisy ai chiodi poi ridiscendo all'attacco e mi calo verso la Gogna, fin da subito devo fare attenzione alla roccia che non sempre è buona, ho la daisy sempre pronta da rinviare nei chiodi. In realtà non so quanto possano reggere uno strappo o una caduta però psicologicamente è molto utile. Supero la bella placca a gocce poi con le due daisy mi tiro sui fittoni del tratto in artificiale e raggiungo la sosta con fantastica arrampicata su lame esposte! Un sogno. Proseguo veloce per il diedro, traverso alla placca e me la godo fino alla sosta, le mie daisy mi seguono e quando ho bisogno mi danno un po' di sicurezza. Ora mi attende uno strapiombino fisico con roccia non bellissima, passo deciso ed entro nel diedro, sempre attenzione alla roccia... ora fantastico traverso esposto con piedi brutti! Sono sotto al grande strapiombo, incontro una specie di fessura o rigola, ostica, non mi fido e disarrampico alla sosta. Decido di fare il tiro in autosicura così monto tutto e salgo più convinto alla sosta successiva, ora il liscio muro che supero in artificiale. Anche qui mi autoassicuro, non mi fido a fare la prima sezione stando sempre su un solo chiodo... Riparto slegato, riorganizzo la testa, questa modalità di salire è particolare perchè si è sempre a cavallo tra sicuro e non sicuro, ogni volta che moschettoni la daisy per un attimo sei legato e il passo dopo sei libero. Sono all'ultimo tiro, una fessura un po' delicata che va a perdersi nei diedri sommitali più facili. Sono in cima per la seconda volta, ora scendo da dietro. Decido di imboscare il poco materiale che ho e attaccare la Cassin in scarpette e magnesite. Sono stanco e ho finito l'acqua, preferisco alleggerirmi al massimo e concentrarmi per l'ultima salita. Non avevo mai percorso questa linea ma l'unto, i fittoni e i graffiti mi indicano la strada. Salgo veloce senza pausa e spesso incastro le mani tra i blocchi invece di tenere i bordi untissimi, questo mi da più sicurezza e rapidità. Un bell'esempio di come le diverse tecniche siano polivalenti. Sbuco nel bosco e ridiscendo i ripidi pendii ghiaiosi, ora sono più tranquillo, posso rilassarmi, è andata!
La gestione del tempo è impressionante, cambiando assetto e mentalità sono riuscito a salire in otto ore tre vie invece che una sola.
Penso che siano queste possibilità di giocare con la testa che mi affascinano di più nell'alpinismo e nell'arrampicata.
Recupero i ferri, corro in paese e salto in vespa, le birre del Galeotto mi attendono!
La prima la scolo per riazzerare i livelli, la seconda me la godo con focaccia e mortadella. Chiamo Marco, domani vogliamo fare Kundaluna e scopro che è anche lui in Medale con Luigi, hanno fatto una via nel pomeriggio. Li aspetto al bar e poi beviamo insieme! Il ritorno tutto a visiera alzata!















Qualche ora di riposo e via con Marco verso la Valle!
Ci accoglie una giornata splendente, è il giorno prima del Melloblocco e purtroppo (fino ad ora) è stato il giorno più solare!
Sono felice di incontrare tanti amici e tra caffè, panini e serie di friend iniziamo ad arrampicare verso mezzogiorno in perfetto stile mellico. 
La nostra cordata è stata collaudata circa un anno fa su Oceano e ora parte Marco senza esitare sul primo di Kundalini, saliremo in alternata tutti i tiri, io ho già percorso le vie mentre Marco è alla prima e così cerco di lasciargli i tiri più belli! La serpe, l'arco, il vuoto sopra alle Bambine Leucemiche, la linea è bellissima e percorrerla davvero piacevole. Saluto una giovane cordata di Sondrio!
Saliamo a Luna, si stà da Dio, l'aria del pomeriggio rinfresca e scalare viene davvero naturale. Attacco il primo con l'ostico incastrino poi Marco si spara il traverso e il dulferone senza fiatare. Saliamo rapidi godendoci al massimo questa spaziale linea di fessure. I tiri sono tutti belli! Quando le placconate si abbattono e la spaccatura si apre, incontriamo un'altra giovane cordata, questa volta di Milano, che saluto! Ora il cammino di pietra che decido di percorrere per intero, è davvero una linea naturale irresistibile poi placchetta finale e sosta sulla classica radice!
La sera si avvicina ed è forse il momento più bello della giornata, la teoria del partire tardi e arrivare tardi si consolida.
Sosta "psicologica" in mezzo al bosco e poi corsa alla pizza, alla birra e alla crag machine!
Bella vita sociale in piazza ma noi lasciamo poco convinti San Martino e partiamo per Milano.
Chiaramente prima delle gallerie ci fermano i Caramba ma gestiamo la situazione al meglio e ce la filiamo!