lunedì 29 luglio 2013

Mangart - via Lomasti

Fabiez è tornato dalla Norvegia e per qualche giorno resta in Italia nelle sue Alpi Giulie, decidiamo di vederci e scalare qualcosa.
Per questo motivo sono in viaggio con il Tito in direzione Udine, nel bagagliaio abbiamo un po' di tutto visto che non sappiamo ancora cosa faremo. Arriviamo nelle buie campagne a mezzanotte, per fortuna un lume ci indica la strada, Fabio ci accoglie e subito iniziamo a sognare sfogliando la bibbia delle pareti locali scritta dal grande Peter Podgornik. Molto avanti nella notte scegliamo di avventurarci sulla via Lomasti alla Nord del Piccolo Mangart, si rivelerà una scelta molto azzeccata. Dormiamo due ore e ripartiamo, io parlo con Fabiez così che lui rimanga sveglio per guidare, il Tito dietro dorme così che possa poi portarci in cima! La parete è subito visibile, è alta e maestosa. Parte il Tito che guiderà poi tutta la via e fin da subito capiamo lo stile, Lomasti era uno tosto. Dopo poco perdiamo il numero dei tiri, da ogni parte si guardi c'è solo roccia però riusciamo a salire sempre più in alto, l'unico riferimento è il perfetto Diedro Cozzolino alla nostra sinistra. Incontriamo placche, muri verticali e fessure che qui chiamano smembramenti, chiodi davvero pochi e lasciati dai rari ripetitori visto che Lomasti aprì in solitaria assicurandosi solo su un tiro...
All'improvviso sbuchiamo increduli sulla cresta sommitale, siamo sul confine e ammiriamo le severe vette slovene che si infiammano con i raggi del tramonto, è fantastico, questi luoghi sono molto selvaggi e severi.
Con l'ultima luce entriamo nel bivacco, abbiamo un tocco di formaggio ed uno di pane, abbiamo un paio di sorsi d'acqua a testa, abbiamo tutto l'essenziale.
Siamo amici, abbiamo fatto una bellissima via in un posto ancor più bello, tutto è successo spontaneamente e all'ultimo momento, ci siamo mossi per due giorni nell'incertezza ma siamo sempre stati legati.
Durante la discesa per la Via della Vita penso alle persone che per fuggire si lanciarono giù per questi versanti ripidissimi e selvaggi, si calarono perfino su posate e altri oggetti incastrati...
































lunedì 15 luglio 2013

Resoconto (anticipato) pakistano

Scrivo un mese prima del dovuto.
Per me la spedizione è finita e sono a casa.

Eravamo un gruppo pronto per provare una nuova via nel gruppo di Trango, è successo qualcosa, sono nate discussioni e ognuno ha fatto la propria scelta con relative conseguenze.
Questa è la mia versione dei fatti (sono l'unico membro ad essere rientrato), ognuno sarà libero di riportare la propria versione (gli altri ragazzi sono in Pakistan).

Ho avuto l'occasione di partecipare a questa spedizione con i Ragni di Lecco e ho deciso di provarci; mi trovo quindi in partenza con altre cinque persone: Matteo, Silvan, Luca, David e Arianna, di tutti conosco bene solo David. Questo credo sia il punto cruciale della situazione che è venuta a crearsi e cioè aver accettato di partire con persone che non si conoscono bene.
Di fatto ho sbagliato a fidarmi di certe persone.

Senza troppi problemi arriviamo ad attrezzare il campo base e dopo qualche giorno di pausa partiamo per il primo vero giorno verso la parete.
Nessuno di noi è mai salito oltre il Monte Bianco e quindi siamo tutti novelli dell'alta quota e questo lo accuseremo tutti.
L'obiettivo della giornata è impegnativo: verificare l'avvicinamento, iniziare a spostare il materiale, acclimatarsi, cercare un posto per il campo base avanzato, vedere la parete da vicino e cercare una possibile linea.. Forse troppe cose insieme ma comunque partiamo con l'idea di fare quello che si riesce senza esagerare.
La mattina lasciamo il campo base in quattro: Matteo, Silvan, David e io; Luca e Arianna riposano un altro giorno.
Saliamo regolari fino a 4700 metri circa poi iniziamo a sentire la fatica, a 5050 metri circa decidiamo di dividerci, io e David siamo stanchi e vogliamo scendere, Matteo e Silvan vogliono continuare ancora un pezzo. La decisione di dividerci viene presa solo in tre in quanto Silvan riparte dal punto di sosta a 5050 metri prima che David arrivasse. Nonostante l'evidente affaticamento (comune a tutti e quattro) Silvan preferisce non riposare, continua a parlare anche con il fiatone, mi sembra troppo euforico (magari è solo sano entusiasmo) e continua a chiedermi aspirine. Quel giorno ho preso anche io due aspirine ma non mi ci ero fissato..
Di fatto rimaniamo io, Matteo e David, beviamo ancora qualcosa poi io e David lasciamo il nostro carico in un buco e ci prepariamo a scendere, Matteo parte per raggiungere Silvan e ci lascia con semplici e chiare parole: "Aspettateci finchè riuscite alla cengia a 4700 metri".

Questo per me è un altro punto cruciale cioè il momento in cui una cordata si divide mantenendo però un accordo. E' sempre una questione di fiducia, si sceglie di contare sui compagni di cordata.

Io e David scendiamo lentamente, siamo stanchi e attrezziamo anche una corda fissa per discendere un tratto pericoloso (la corda potrebbe servire anche ai nostri compagni) poi raggiungiamo la cengia e ci piazziamo per aspettare (al momento di ripartire mi rendo conto che la cengia dove abbiamo fatto pausa in salita è qualche metro più a valle; non ritengo questo fatto determinante ma lo riporto come dettaglio).
Aspettiamo fino a preoccuparci, facendo un rapido calcolo i compagni dovrebbero essere già scesi e passati da noi. Il tempo passa e nessuno arriva, proviamo a risalire ma non siamo in grado, iniziamo a pensarne di tutti i colori ma cerchiamo di rimanere calmi.
Sono alla mia prima esperienza extra europea, alla mia prima esperienza in quota e nel complesso sono tre anni che scalo un po' seriamente e se ci lasciamo con l'accordo di riunirci e non ci riuniamo il mio istinto mi dice che è successo qualcosa.
Io e David pensiamo a quello che potrebbe star succedendo più in alto, non siamo in grado di risalire per verificare e quindi ci troviamo in una situazione di estremo disagio: non sappiamo cosa succede e non possiamo fare niente.
Sinceramente per un po' di tempo non sappiamo cosa fare, qual'è la scelta giusta in questa situazione? Penso a Bonatti che professa la calma da mantenere in ogni situazione.
Ci decidiamo per un'ora a cui inizieremo a scendere (rispettandola al minuto perchè se iniziamo ad aspettare "altri cinque minuti" non ci muoviamo più).
Cosa significa "Aspettateci finchè riuscite"? Finchè avete voglia, finchè morite, fino a notte, fino a quando? Io penso finchè si riesce a fare qualcosa di utile ai fini della cordata.
Decidiamo l'ora in cui lasciare il punto di ritrovo grazie ad un compromesso che analizza: gli accordi presi, il nostro stato, l'ora, le condizioni della montagna, le ipotesi che io e David abbiamo formulato con i dati a nostra disposizione e quello che ci sentivamo di fare a "fiuto".
Sinceramente non ho mai pensato che il ritardo dei compagni potesse essere causato da qualcosa di diverso da un incidente. Può essere mancanza d'esperienza o ingenuità oppure ancora fiducia buttata dal balcone.
Di fatto io e David aspettiamo i compagni e questi non arrivano, preoccupati e impossibilitati a salire decidiamo allora di scendere e prima di partire lasciamo sotto un sasso materiale utile per un bivacco.
Raggiungiamo il ghiacciaio e risaliamo la morena, poco prima di sbucare sul pianoro del nostro campo base confido a David di avere un forte senso di vomito all'idea di arrivare e non saper dire cosa è successo ai compagni. Fino a qui abbiamo camminato veloci con l'idea che prima si arriva e prima si può ripartire ma gli ultimi metri li percorriamo lenti, il peso di questa situazione si fa sentire sulle spalle e nella testa.
Arrivo tra le tende e vedo che seduti ci sono anche Matteo e Silvan, stanno bevendo the e mangiando biscotti, sono svaccati al campo base. Il tempo di realizzare la situazione e il mio entusiasmo si spegne, ora sono sconvolto, incazzato.
I due compagni sono scesi da un altra via e sono arrivati al campo base ore prima.
Io e David eravamo sulla montagna ad aspettarli.
Loro bevevano the e mangiavano biscotti senza alcuna preoccupazione (neanche un'occhiata dalla morena!), noi eravamo combattuti su cosa cazzo fosse meglio per la cordata (cordata di quattro non di due persone).
La loro versione in breve è che sono saliti ancora duecento metri poi hanno lasciato il loro materiale. Matteo stava male per la quota e Silvan lo ha aiutato a scendere poi nel punto in cui sarebbero dovuti passare da noi Silvan ha deciso di scendere per un altra via (nonostante Matteo gli avesse detto che noi stavamo aspettando) che riteneva migliore.
Dicono di aver urlato senza ottenere risposta e di non averci visto; la cosa non mi stupisce in quanto stavano scendendo in un canale separato dal nostro e tutt'attorno c'erano scariche, fiumi e altri canali.
Ci è voluta almeno una notte per tornare consapevoli delle proprie azioni e scelte.
Dopo i pianti, le urla, le scuse e tutte le altre scenate causate dallo stato di shock delle prime ore, ognuno ha preso una posizione, io ho deciso che per me la spedizione era finita.
Ho preso questa decisione personalmente poi l'ho condivisa con il gruppo.

Per me quello che è successo durante il primo giorno d'azione, quello che doveva essere il più facile di tutti, è inaccettabile. Inaccettabile per me e quindi faccio il mio passo indietro.
Non esiste (queste sono mie personali idee) che due compagni vengano lasciati su senza la minima preoccupazione o precauzione (delle urla su una parete piena di canali, scariche e fiumi non me ne faccio niente). Inoltre le facce di Matteo e Silvan quando li ho rivisti al campo base non erano per niente  preoccupate o tese, loro erano tranquillamente seduti a bersi il the, loro due erano scesi, perchè preoccuparsi di qualcosa?! Loro pensavano che stessimo arrivando..

Tornando ai fatti, io ho deciso di andarmene e di non legarmi più insieme a Matteo e Silvan, sopratutto in Karakorum con l'obiettivo di aprire una via nuova sull'Uli Biaho.
Qui risuona il grande errore comune di esser partiti senza conoscersi.
Voglio evidenziare che tutte le discussioni si sono svolte in modo civile, con tutti i membri in grado di intendere e di volere e analizzando tutte le questioni quindi nessuno ha agito di nascosto o slealmente.
Decido di scendere portando via tutto il mio materiale, in breve mi rendo conto che il materiale portato da me non era indispensabile alla spedizione e quindi ho deciso di prendere tutto, non per ragioni economiche ma per principio.
Non mi andava di lasciare le mie cose a dei bastardi.

Sul punto del materiale vorrei fare alcune precisazioni:

Nessuno dei membri mi ha chiesto di lasciare qualcosa.
Comunicando la lista del materiale che avrei preso, Matteo non mi ha dato ascolto dicendo che non gli importava niente mentre David e Luca sanno cosa ho preso e per loro andava bene.
Mi è stato chiesto e ho lasciato tutto il materiale Adidas che mi era stato fornito (compresa la giacca e quindi mi sono preso un giorno di pioggia) e anche le sei barrette e la busta di sali e disinfettante per l'acqua che avevo preso per il trekking di ritorno (bevuto e mangiato con i portatori quindi mi sono preso una bella diarrea).

Chiudiamo la discussione con una stretta di mano.



Quello che è successo, è successo a noi su una montagna in Karakorum.
Il tempo era il nostro e le scelte sono state nostre.